IL 24°CONVEGNO UCIPEM. RIMINI NOV 2014


Il nuovo Presidente dell'UCIPEM, dr. Francesco LANATA', presenta il tema del convegno, insieme al nuovo Consiglio Direttivo eletto a gennaio scorso.








Armonia e Etica
Relazione del Presidente Lanatà al 24° convegno Ucipem di Rimini
Come ormai sapete da molti anni l’UCIPEM organizza in maniera alternata convegni e congressi. I convegni sono ad uso interno. Sono momenti di incontro tra e per gli operatori dei nostri consultori. Con il convegno del 2012 di Frosinone abbiamo voluto mettere a fuoco la persona dell’operatore. Anche quest’anno l’operatore rimane al centro dell’attenzione del convegno; solo che questa volta vorremmo avere come obiettivo la sua specificità, il suo senso di appartenenza all’Unione, il significato di appartenere all’UCIPEM in quanto realtà dinamica, chiamata a rispondere a nuove domande in una società sempre più complessa, cosa che si può ottenere senza ovviamente cambiare i principi ispiratori.
Il titolo del convegno è evocativo di quello di cui parleremo in questi giorni, del contenuto delle relazioni e dei lavori di gruppo.
Se la mia past president Gabriela Moschioni mi ha contagiato: l’amore per l’UCIPEM, il mio past past president Beppe Sivelli mi ha trasmesso un’abitudine: quella di dare inizio alle relazioni con una storia.  
Con questa storia vorrei introdurvi nel tema del clima interno nei e tra i nostri consultori UCIPEM; vorrei introdurvi al tema della ricerca dell’armonia, la stessa armonia che si può apprezzare in un componimento musicale o in un tessuto dove i colori dell’ordito si distribuiscono e si amalgamano nel contesto della trama.  
Per fare questo parleremo di musica e cominceremo con una piccola storia.
È la storia di un professore d’orchestra che suonava il contrabasso. Questo professore una sera, dopo l’esecuzione della Sesta Sinfonia di Beethoven, per la prima volta torna a casa entusiasta, felice fino all’inverosimile. A cena, seduto al tavolo insieme alla moglie e ai figli, vuole raccontare il motivo di tanta gioia: “Sapete?  Oggi è successa una cosa incredibile: una cosa mai successa prima. L’esecuzione della Pastorale è stato qualcosa di sublime. Tutti noi musicisti eravamo una sola cosa col maestro, ma non solo con lui, sembrava che il pubblico intero suonasse con noi e alla fine ha fatto un applauso interminabile. Certo che Beethoven è un grande, non esistono compositori migliori di lui. Ma, sapete? C’è un’altra cosa che mi ha lasciato sbalordito: Ricordate quel pezzo della sinfonia dove io ho quella parte molto importante, quella…” e lì riproduce con la bocca alcune note in maniera lenta e apparentemente irregolare che, a sentirle così isolate, sembravano quasi senza senso. “Che grande che è Beethoven. Voi non potete neanche immaginare che genere di musica ha composto questo grandissimo compositore per accompagnare questo mio pezzo. Pensate: mentre io suono le mie note, tutti gli archi fanno …..” e lì prende a canticchiare a labbra strette un piccolo stralcio di quella che era la vera melodia e che in quel punto viene eseguita dagli archi.
Questa storiella potrebbe suscitare una certa ilarità dovuta a quello che potrebbe sembrare un aspetto un po’ megalomane del professore.
Solo che la storia non finisce qui.
Contemporaneamente, ad alcune centinaia di metri un altro professore della stessa orchestra, racconta con lo stesso stato d’animo, la stessa storia riferita alla partitura del trombone che era il suo strumento.
Fatto è che quella sera, a casa, tutti i professori d’orchestra raccontavano ai loro familiari la stessa storia riferita a loro stessi e tutti tessevano infinite lodi all’autore.
Tutti si sentivano importanti, gratificati, avevano lo stesso stato d’animo.
Tutti, compreso il direttore d’orchestra, erano convinti di essere importanti. Ognuno, insieme agli altri, sapeva di aver fatto qualcosa di molto bello e gradito al pubblico e pertanto, di avere la riconoscenza del pubblico stesso. Tuttavia  nessuno si prendeva il merito del successo. Di tutto questo davano il merito all’autore per il quale nutrivano infinita ammirazione e gratitudine.
Ma era solo dell’autore il merito? Era del maestro? Era del professore di contrabbasso? Di quello delle percussioni? Certamente ognuno aveva fatto la sua parte.
In realtà ogni autore nell’atto del comporre un’opera, attraverso le note, trascrive sul pentagramma sentimenti che vengono poi espressi dall’orchestra e sono destinati a raggiungere il cuore di chi ascolta. Per ottenere ciò il compositore distribuisce le note nella maniera che ritiene più opportuna, nella giusta sequenza, compone il motivo conduttore, la melodia, l’accompagnamento, assegna gli accordi ai vari strumenti, definisce i tempi e l’andamento,  indica i piani e i forti, alcuni orchestrali avranno partiture lunghe e altri brevissime. Ha bisogno però che tutti gli strumenti dell’orchestra svolgano la loro parte in maniera tecnicamente impeccabile e in pieno affiatamento. Sa che ciò che sta componendo e che poi sarà eseguito dovrà attraversare l’orecchio per giungere al cuore. Ogni singola parte dell’opera potrà essere più o meno lunga, potrà essere eseguita da un solo strumento, da più strumenti o da tutta l’orchestra; l’importante è che l’esecuzione sia svolta in maniera tale che i sentimenti che l’autore vi aveva impresso possano essere trasmessi a chi ascolta. Immaginate solo per un attimo se una sola delle poche note suonate dal timpano, come per esempio avviene nel temporale, al quarto movimento della sesta sinfonia, avvenisse fuori tempo; l’intera esecuzione ne risulterebbe danneggiata.
Sinfonia (Sin Phonos) significa suonare insieme, ognuno la sua partitura da eseguire con il proprio strumento. Se tutti i musicisti, avendo compreso il significato dell’opera, concorrono nella maniera più corretta a riprodurre ogni suono, ciò che viene percepito dal pubblico che ascolta, sono i sentimenti comunicati dall’autore, espressi in una armonia di suoni. Cos’è infatti l’armonia se non una concordanza di suoni che ha come effetto la capacità di provocare un vero e proprio senso di compiacimento su chi ascolta? 
“Suonare insieme” per eseguire correttamente una sinfonia significa quindi esprimere quell’armonia che proviene dall’opera musicale e pervade il pubblico che ascolta, gli esecutori e lo stesso direttore d’orchestra. Questo a patto che ogni musicista o ogni corista, prima ancora di compiacersi della musica che proviene dalla sua partitura, dal suo strumento, ascolti le note degli altri. Un vecchio maestro diceva che ognuno di noi ha due orecchi e una sola bocca, affinché la capacità di ascoltare sia superiore alla capacità di farsi sentire. I professori di quella orchestra attribuivano il merito del successo al compositore; in realtà quella sera ognuno di loro aveva semplicemente cominciato ad ascoltare anche le note suonate dagli altri scoprendo così la bellezza dell’opera.
L’armonia non è tuttavia una prerogativa della musica; il suo significato esce da questo ambito per diventare anche accordo di parole, di pensieri, di idee che si scambiano tra più persone. Ciò  che affascina è che anche al di fuori dell’ambiente musicale essa riesce ad avere gli stessi effetti benefici sia sui destinatari dell’atto compiuto in armonia, sia sugli stessi esecutori.
Il “clima interno” o “clima aziendale” o “clima organizzativo” che dir si voglia è un tema di cui oggi spesso si sente parlare nelle aziende comprese quelle sanitarie. Teoricamente dovrebbe trattarsi di un qualcosa mirante a rendere il lavoro più gradevole, più dignitoso e in quanto tale, fonte di soddisfazione e di benessere per ogni persona che svolge l’attività lavorativa e quindi in grado di prevenire lo stress lavoro-correlato. In realtà, dai questionari che vengono elaborati e distribuiti per essere compilati dagli operatori e poi analizzati ai fini della sua valutazione, si percepisce come il cercare di favorire il miglioramento del clima interno spesso miri solamente a rendere il lavoro più produttivo, quando addirittura non si risolve in una semplice raccolta di fogli stampati, utile soltanto  al mantenimento dei requisiti essenziali per l’eventuale accreditamento istituzionale di quell’azienda.
Anche se la parola consultorio richiama le Aziende Sanitarie Locali (ASL) non è così per i nostri consultori. I nostri consultori, anche se devono presentare i loro bilanci, specie se sono convenzionati, non sono aziende né fanno parte di aziende che hanno la necessità di produrre reddito. I nostri consultori sono ONLUS, sono organizzazioni senza scopo di lucro. Il nostro clima interno è e deve essere un clima che viaggia cullato da note armoniche che coinvolgono tutti gli operatori. Chi deve contribuire al mantenimento di questa armonia? L’opera è stata composta dal primo compositore, Don Paolo Liggieri, gli arrangiamenti sono stati fatti dai padri fondatori. Sta ora al Direttivo, ai Delegati regionali, ai Direttori e a tutti gli Operatori eseguire la sua sinfonia con i sentimenti espressi dall’autore e fatti propri.

Quando Don Paolo fondò il primo consultorio è logico pensare che aveva in mente solo il bene della famiglia e il recupero della sua armonia. Mi piace pensare che i padri fondatori, quando hanno pensato all’UCIPEM abbiano preferito dare il nome di unione affinché l’ideale di armonia da recuperare nella persona e nella famiglia, si realizzasse anche all’interno dei consultori nel rapporto tra gli operatori e nel rapporto tra i consultori pur con le loro diversità di peculiari carismi, di forze e di mezzi.
L’armonia è essenziale all’interno di ogni singolo consultorio nel rapporto tra gli operatori e, se veramente presente, i suoi effetti benefici per forza di cose non saranno trasmessi solo all’utenza ma anche agli stessi operatori.
Il gruppo di lavoro consultoriale, l’équipe, è un soggetto diverso da un qualsiasi altro gruppo: mentre un semplice gruppo è una pluralità in interazione, l’équipe è una pluralità in integrazione sia nel momento in cui lavora nell’accompagnare l’utente nel cammino che dovrà affrontare, sia nella gestione delle attività dello stesso consultorio. La collaborazione nella équipe si fonda su relazioni di fiducia, sulla negoziazione continua di metodi, sulla condivisione di decisioni, obiettivi, sulla ricerca attiva e condivisa di soluzioni che nascono dalle proprie idee e dalle proprie competenze in dialogo con quelle degli altri. Tutto questo richiede fatica, perseveranza, metodo, verifiche periodiche.
Per fare riferimento al titolo del convegno pensiamo a un bellissimo ricamo su una tela. Se voltiamo la stoffa troveremo spesso qualcosa di diverso: si intravede il ricamo ma ci sono anche fili tagliati e poi annodati, si vede insomma il lavoro e la fatica degli operatori.
Il sacrificio finalizzato al bene dell’altro è di per sé un bene per chi lo compie. Quale è quell’operatore di consultorio che, lavorando in piena gratuità, non è pronto ad asserire di ricevere più di quanto non dia? D’altra parte quanto può essere frustrante per un operatore non sentirsi in armonia con altri operatori! E quanto può essere frustrante per un consultorio non sentirsi in armonia con altri consultori o con lo stesso Direttivo e viceversa!
Prendersi cura degli utenti comporta necessariamente prendersi cura in egual misura delle relazioni con e tra gli operatori. E cosa è questo se non etica della comunicazione che all’interno di un gruppo è propedeutica alla armonia in seno allo stesso gruppo?
La carta dell’UCIPEM è molto chiara sul riferimento evangelico a proposito dell’agire consultoriale ed è proprio nel Vangelo che troviamo scritto: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”.
In un consultorio familiare, nel rispetto dell’armonia, vi è una parte che viene affidata al consulente familiare il quale, primus inter pares, a sua volta viene abilmente e amorevolmente affiancato dagli altri operatori che sono egualmente importanti.
Se la musica che si ascolta in un consultorio potrebbe essere paragonata  a quella di un’opera lirica, la musica nell’UCIPEM e quindi tra i consultori potrebbe essere vista come una musica Jazz dove, a causa delle comprensibili diversità tra un consultorio familiare e l’altro, ai non addetti potrebbe sembrare disarmonica, potrebbe sembrare che non ci siano elementi che li accomunano, come se fossero tanti  strumenti che vanno per conto proprio producendo un’incomprensibile accozzaglia di suoni. In realtà, chi conosce il Jazz sa che esiste un preciso motivo conduttore, un leitmotiv composto dall’autore intorno al quale ruotano tutti gli strumenti variamente arrangiati.
Data per scontata la professionalità che ci qualifica e che, ovviamente, è indispensabile alla nostra attività, per noi il motivo conduttore è quanto scritto nella carta dell’UCIPEM. Primo fra tutti la capacità di accogliere e accogliersi che è espressione di quell’amore evangelico gratuito, stupefacente e misterioso che raggiunge l’utente ma che prima ha contagiato e coinvolto tutti gli operatori. Se un piccolo pezzo di carta di pochi centimetri quadrati, dopo quasi mezzo secolo, riesce ancora ad essere il collante dell’unità nella diversità dei tanti consultori che aderiscono all’UCIPEM, è davvero una grande carta.
Sta ora al Direttivo continuare a viverla e mantenerla viva nel cuore di ogni operatore affinché continui ad essere nel tempo riferimento metodologico e valoriale.


Per leggere le altre relazioni del Convegno vai sul sito del Consultorio Ucipem di Pescara cliccando qui



Alla fine della lunga giornata di sabato, dedicata ai lavori nei gruppi interdisciplinari, il Consultorio di Rimini ha offerto una bellissima e sonora sorpresa ai convegnisti, con lo spettacolo CANTA PER IL MONDO,  mirabilmente interpretato dai ragazzi dell'Associazione AMARCANTO di Rimini, diretti da Laura Amati. Armonia e passione hanno entusiasmato tutti i partecipanti che hanno dedicato un'ovazione ai giovani artisti.
Guarda il video
I RAGAZZI DI AMARCANTO






LETTERA AD UN ADOLESCENTE

Libro: 'Lettera a un adolescente'
Autore: Vittorino Andreoli
Editore: BUR
Un saggio, una lettera che l'autore, assumendo il ruolo di padre e/o nonno, scrive ad un adolescente , affrontando alcuni aspetti di una fase della vita tanto affascinante quanto difficile .Vittorino Andreoli ci aiuta a cogliere il senso di tutto ciò, definendo l'adolescenza un periodo di 'metamorfosi' .Sono infatti tanti i cambiamenti che si affrontano in questo periodo e sono molti i temi che vengono toccati: il corpo, gli eroi, il gruppo di pari età, il bisogno di amore esclusivo, fino al concetto di 'sacro'.
Una lettera d'amore, una lettera che commuove, una lettera di incoraggiamento per 'padri e figli', un invito a parlare, a comunicare, un invito alla 'coerenza, al coraggio, al rispetto'. E' questo che ci viene dai 'modelli', non dall'eroe: è il modello che insegna a vivere'.
Gli adolescenti hanno fretta di crescere, e l'autore li invita a individuare non solo il tempo cronologico, ma 'un tempo dei sentimenti' a cui forse tutti quanti dovremmo prestare più attenzione.
Perchè leggerlo? Perchè può essere utile agli adolescenti per capire meglio cosa succede in questa fase transitoria della loro vita ; li può aiutare a riconoscere che spesso è il bisogno di imitazione a portarli alle dipendenze; può essere utile anche agli adulti, per comprendere meglio i giovani e cercare di aiutarli .Il ruolo degli adulti non è solo quello di ascoltare , ma anche di orientare gli adolescenti, di insegnare loro ad indignarsi , a lottare , a non farsi del male.

Licia Serino

I RAGAZZI STANNO BENE

Film : I ragazzi stanno bene
Regia: Lisa Cholodenko
Con: Annette Bening - Eddie Hassell - Josh Hutcherson - Julianne Moore
Anno: 2010

Nic e Jules sono una coppia lesbica di mezza età. Profondamente innamorate l'una dell'altra, hanno costruito un sereno ambiente familiare con i due figli adolescenti, Joni e Laser. Quando Joni compie diciotto anni, è il fratello minore a farle pressioni perché si rivolga alla banca del seme e scopra l'identità del donatore segreto con cui condividono il patrimonio genetico. Inizialmente scettica, Joni si mette sulle tracce del padre e scopre che questi è Paul, un dongiovanni che gestisce un ristorante biologico alla periferia di Los Angeles. Quando per caso le due madri vengono a conoscenza del fatto, decidono di introdurre Paul nel loro nucleo familiare.
Una commedia che ha l'obiettivo di coniugare tematiche gay e valori della famiglia.La coppia di mamme lesbiche è una coppia stabile e integrata con due figli adolescenti, ma l'arrivo del padre biologico nelle loro vite altererà gli equilibri familiari in maniere insospettabili.
E' interessante vedere che le dinamiche relazionali di questa famiglia , che si potrebbe definire come 'fuori dagli schemi', in realtà non hanno nulla di atipico: l'immagine è quella di una famiglia che condivide le medesime problematiche della "normalità" eterosessuale e che sembra essere a tratti più tradizionalista di quelle "tradizionali", ma che è al tempo stesso cosciente della propria individualità e delle proprie particolarità, dove le questioni di genere valgono come differenza tanto quanto altri tipi di distinzione in situazioni diverse.
Da vedere perchè è divertente e offre spunti di riflessione per tutti. Per chi è consulente familiare e ha magari qualche perplessità nell'affrontare problematiche omosessuali, è utile nel mostrare che le dinamiche all'interno di una famiglia 'omo' sono le stesse di quelle di una famiglia 'etero', che le cause di discussione sono simili . La famiglia è famiglia qualsiasi sia la sua composizione, e gli strumenti che abbiamo acquisito come consulenti rimangono sempre validi, mantenendo ben saldo uno dei punti cardine della consulenza, e cioè l'accettazione incondizionata del cliente.
Licia Serino

LE PANTOFOLE DELL'ORCO

Libro: Le pantofole dell’orco. Storia di un amore crudele
Autore: Rosalind Penfold.
Editore: Sperling & Kupfer. Diritti e Rovesci 2006
Per dieci anni Rosalind ha convissuto con un uomo che, dopo l’idillio iniziale, si è rivelato violento, crudele, bugiardo, traditore, alcolista. Nel corso di questa escalation di abusi e umiliazioni, la donna ha tenuto un diario a disegni che, a qualche anno di distanza, ha trovato il coraggio di pubblicare. I fumetti, grazie alla loro immediatezza, riescono a trasmettere il loro messaggio ai lettori con più forza e intensità, soprattutto con un tema così sconvolgente.
Su questa Rivista abbiamo parlato spesso di resilienza, e nelle nostre stesse vite ci siamo accorti frequentemente di quanto sia forte in ogni persona la spinta a rialzarsi dopo ogni caduta. Le scivolate, il dolore, i traumi più o meno gravi ci abbattono e abbattono i nostri clienti… Eppure, ogni volta, una parte eroica ed inarrestabile si attiva e aiuta a rimettersi in piedi.
L’autrice del libro è contemporaneamente illustratrice, ideatrice, musa e prima destinataria di questa fatica. La resilienza nella sua vita si è pienamente espressa, utilizzando abilità e capacità che già aveva: ha potuto raccontarsi e raccontare ad altri il suo modo di uscire dal tunnel di un rapporto malato e occuparsi di sé con più rispetto e amorevolezza.
Leggere o far leggere ai clienti questo libro permette di cogliere alcuni aspetti del tema spinoso della violenza sulle donne; tra le righe e le immagini che si susseguono. Con Rosalind si ride e si piange, ci si identifica e si riconosce qualcuno. In sintesi quindi mi sento di dirvi che questo libro a fumetti è potente, coinvolgente, eloquente più di molti saggi. Descrive giorno per giorno la vita di una donna intelligente che finisce tra le "zampe" di un orco travestito da uomo innamorato. E' la storia di troppe donne, di una relazione di abusi nascosta dietro la parola: amore...

Rosella Mercuri

LA FORTUNA NON ESISTE

Libro: La fortuna non esiste
Autore: Mario Calabresi
Editore: Mondadori, Oscar 2009
Cosa possono avere in comune un broker di una importante Casa di Investimenti e un operaio di una fabbrica di automobili? Una donna che pilota elicotteri in missioni di guerra e un arredatore d’interni, un profugo afgano e un cittadino di New Orleans? Sono tutte persone la cui vita è stata attraversata da eventi sconvolgenti che hanno sradicato le piccole e grandi certezze su cui poggiavano le loro esistenze. Le loro storie vengono raccolte e raccontate con grande intensità e nello stesso tempo con estrema semplicità in questo libro di storie di resilienza personale e sociale di Mario Calabresi.
In 2 anni di viaggio lungo gli Stati Uniti per seguire la campagna elettorale che ha portato Barak Obama a diventare il primo Presidente afroamericano della più grande potenza del mondo, l’autore incontra un Paese che è profondamente cambiato sotto il peso dei tragici eventi di questi ultimi anni: la più grande crisi economica della nostra storia, le varie guerre in Oriente e catastrofi naturali dalla forza distruttiva, seppur mascherata da un nome gentile come quello dell’uragano Kathrina.
Mario Calabresi racconta le testimonianze di chi ha perso il lavoro e si è ritrovato da un giorno all’altro senza stipendio, un mutuo da pagare e dei figli da crescere, di chi ha perduto la casa in seguito all’uragano e si è ritrovato a vivere in un camper o, peggio, in automobile per diversi mesi, di chi si è visto catapultato dagli splendori di una vita agiata ad una esistenza in cui l’unico bene materiale da cui non puoi distaccarti è il telefonino. Non per status symbol ma per necessità, perché rappresenta l’unico contatto possibile con il mondo esterno, dal quale aspetti una chiamata che rappresenti per te un’opportunità di lavoro o semplicemente la prova che per qualcuno esisti ancora. Le storie di chi ha vissuto la guerra, per scelta o per necessità, perché sei un militare inviato in missione o perché il destino ti ha fatto nascere in uno di quei posti in cui la parola pace non sembra avere significato, in entrambi i casi riportando ferite che sanguinano tanto nel corpo quanto nell’anima.
Leggendo questo libro, però, si rimane immediatamente colpiti dal fatto che non è un resoconto della disperazione. Al contrario, è un inno alla gioia, alla forza della vita, perché tutte le storie che racconta sono storie di resilienza. C’è una domanda che pervade ogni pagina: cosa succede quando una persona cade? Cos’è che le permette di rialzarsi? Cos’è che permette ai protagonisti incontrati da Calabresi di far loro pronunciare parole del tipo: “Sono nato una seconda volta?”. L’operaio disoccupato che torna sui banchi di scuola per imparare un nuovo lavoro, la famiglia che si ricostruisce un’esistenza e una dignità nei pochi metri quadrati di un camper, il militare che perde entrambe le gambe in un’azione bellica e scopre che la sua vita non è persa su di una sedia a rotelle, sono persone che hanno vissuto la forza della resilienza, che la testimoniano e la descrivono senza conoscerne neppure il nome, che raccontano di quelle risorse che hanno trovato in se stessi o negli altri per ricominciare a vivere, a sperare oltre l’insperabile, che hanno richiamato a sé tutte le energie possibili per non lasciarsi andare e darsi un’altra possibilità. Il bello di questo libro sta proprio in questo: le storie che vi sono narrate sono storie “comuni”, tanto vicine a quelle vissute in prima persona dal lettore o da un suo familiare o da un amico, da permettere una facile identificazione con chi le racconta. Ci si riconosce, ognuno per la propria esperienza, di essere stati almeno una volta nella vita, resilienti senza sapere di esserlo, e di “avercela fatta”.
Mario Calabresi sa bene cosa sia la resilienza, per essere rimasto orfano all’età di due anni del papà, ucciso dalle Brigate Rosse. Nel libro si scopre quanto la resilienza faccia parte del dna della sua famiglia grazie al commovente racconto introduttivo in cui narra la storia della sua nonna, bimba nata prematura in un freddo mattino d’inverno del 1915 e che tutti davano per morta, eccetto un anziano medico che “scommette su di lei”, se ne prende cura per mesi e la restituisce alla vita.
La resilienza è una scommessa sulla vita, ma non come in un gioco d’azzardo in cui affidi le tue sorti alla fortuna, perché come si legge nel libro: “La fortuna non esiste. Esiste solo il momento in cui il talento incontra l’occasione”. Il talento siamo noi stessi, è la nostra stessa vita e l’occasione, a volte, può essere anche l’incontro con un consulente familiare che crede profondamente nel tuo valore di persona, che ti ascolta, si prende cura di te, ti ri-conosce e ti aiuta a rialzarti.
Ivana de Leonardis Consulente Familiare di Vasto

ACCIAIO

Libro: 'Acciaio'
Autore: Silvia Avallone
Editore: Rizzoli
Secondo classificato al Premio Strega 2010
Pochi elementi per inquadrare la storia, ambientata in un luogo di fantasia, i casermoni di Via Stalingrado a Piombino dove vivono gli operai della Lucchini; uno spaccato di una periferia operaia agli inizi del nuovo millennio, simbolo di una qualsiasi provincia italiana che sta cambiando e dove i giovani non vedono più realizzate le proprie speranze. Protagoniste principali due adolescenti, Anna e Francesca, amiche inseparabili.
Una storia raccontata con uno stile scarno,incisivo;un linguaggio piuttosto colorito,uno spaccato di vita che viene raccontato atrraverso gli occhi di due ragazzine di 13 anni , un romanzo che parla di padri violenti,di figlie disinibite, di morti sul lavoro, della perdita dei valori di una società, di una generazione disillusa che non lotta più per un proprio ideale, ma che trova una via di fuga dalla realtà costruendosi un mondo irreale. Un mondo dove i valori in cui si crede sono soltanto il sesso e il denaro.
I personaggi sono sempre credibili, descritti con cura, mai ridotti a stereotipi; l'autrice riesce ad esprimere sentimenti, a comunicare sensazioni; si percepisce un pessimismo di fondo, un procedere malinconico, una lettura appassionante dall'inizio alla fine.
Voglio riportare uno spezzone, una delle tante frasi che mi hanno colpito :
'....Se il tempo potesse scivolare inavvertito dentro le stanze, dentro le porte. Se ogni cosa potesse concludersi in quella posizione sbilenca della testa sulla poltrona, le mani riposte in grembo, dimentiche di tutto quello che hanno fatto, senza traccia, come se non avessero mai cementato una casa, e plasmato rotaie, e percorso corpi, e incisi in profondità i figli....'
Perchè leggerlo? Perchè racconta l'adolescenza, un periodo difficile della nostra vita, che tutti abbiamo attraversato ma che forse, quando abbiamo a che fare con degli adolescenti, dimentichiamo di aver vissuto. Perchè racconta di una realtà problematica quotidiana, che purtroppo molte famiglie devono affrontare. Perchè racconta di una vita di provincia che non rappresenta più un rifugio tranquillo, ma un luogo estremamente distante dalle speranze dei giovani.
Per conoscere, per capire, per non giudicare.
Licia Serino

CHI HA SPOSTATO IL MIO FORMAGGIO?

Libro: Chi ha spostato il mio formaggio?
Autore: Spencer Johnson – Edizione: Sperling & Kupfer
Su questo numero, particolarmente attento alla tematica della resilienza, vi presentiamo un testo “per bambini”, una parabola, una storia che parla alla nostra parte sensibile alle immagini ed all’immaginario…
“Chi ha spostato il mio formaggio” è una storiella breve, densa di significati ed insegnamenti, che ci aiuta a comprendere l'importanza ed il valore del cambiamento, della flessibilità e dell'apertura al nuovo. Nasofino e Trottolino sono topolini, Tentenna e Risolino sono gnomi grandi come topolini. Tutti e quattro vivono nel "Labirinto" e sono alla ricerca di un "Formaggio", che li nutra e li faccia vivere felici. Il "Formaggio" è la metafora di quello che vorremmo avere dalla vita: un lavoro soddisfacente e appagante, una relazione gratificante che ci nutra il cuore, la tranquillità economica, una sensazione di stabilità e di pienezza, il figlio tanto atteso... Il "Labirinto" è il mondo in cui cerchiamo quello che desideriamo: l'azienda in cui lavoriamo, la famiglia, la comunità in cui viviamo, il consultorio presso cui operiamo... I nostri quattro personaggi devono fronteggiare cambiamenti inattesi. I caratteri e le modalità di ciascun personaggio, topo o gnomo che sia, sono ben dipinte e ci ricordano molto intensamente stili personali in cui sarà facile ritrovarsi (anche con un pizzico di ironia). Uno dei protagonisti della vicenda affronta il mutamento con successo e decide di scrivere sui muri del Labirinto quello che ha imparato dalla sua esperienza. Lo fa per sé, per non ricadere sempre negli stessi errori? Lo fa per comunicare ai suoi compagni di avventura ciò che ha vissuto e conosciuto? Lo fa per sentirsi meno solo nella sua ricerca, tormentata e faticosa? Non lo sappiamo, forse possiamo proiettarci i nostri motivi personali…
In ogni caso, proprio queste parole fermate sui muri del labirinto saranno lo spunto per scoprire come gestire meglio il cambiamento, per subire meno stress ed essere più soddisfatti della vita, degli affetti e del lavoro.
“Chi ha spostato il mio formaggio?” utilizza bene, nella sua veste grafica, le immagini. Attraverso i disegni, che si alternano e si integrano con il testo, puntualizza e sottolinea i concetti chiave che emergono dal “cammino” nel labirinto della vita.
La metafora del labirinto è stata più volte esplorata sia nella rivista, sia nelle giornate di formazione e credo che ritrovarla in un testo facile e denso nello stesso tempo possa aiutarci a farla via via sempre più nostra. Io ho usato spesso questo testo ai clienti in consulenza. Mi è capitato di proporlo a chi si affannava alla ricerca di nuove soluzioni usando vecchi metodi, a chi non vedeva al di là del suo naso… Il libro ci ha permesso di costruire un linguaggio comune, un background a cui riferirci nel difficile cammino alla ricerca di nuovi stili personali.

Rosella Mercuri